Si pone l’attenzione sulle lavoratrici particolarmente penalizzate negli ultimi decenni da un pesante aggravio delle condizioni per andare in pensione, e per chi svolge mansioni particolarmente pesanti e gravose.
Per quando riguarda le donne, si ribadisce innanzitutto la necessità di prorogare nel 2024 e 2025 la pensione con opzione donna, eliminando le condizionalità introdotte con l’ultima legge di bilancio e alleggerendo i requisiti anagrafici per tornare ai precedenti 58/59 anni di età.
Inoltre si ribadisce la necessità di prevedere per tutte le prestazioni pensionistiche delle lavoratrici madri la riduzione dei requisiti pari a 12 mesi per figlio. Poiché la riduzione dell’età o dei contributi produce un effetto negativo sull’importo della pensione a causa del calcolo contributivo, l’esigenza è quella di individuare un coefficiente di calcolo non penalizzante, ovvero dare l’opportunità di scegliere tra l’anticipo della pensione o l’applicazione di un coefficiente più alto, come già previsto oggi dalla legge 335/1995 ma riconoscendo un coefficiente più elevato, 1 anno per 1 figlio, 2 anni per 2 figli e così via.
Per quanto riguarda i lavori gravosi e usuranti, si sottolinea la necessità di allargare l’elenco delle gravosità già previsto per l’Ape sociale. Particolare riguardo va anche al lavoro notturno, dal momento che le condizioni di accesso alla pensione usuranti per chi svolge queste mansioni sono particolarmente rigide e cercare di valutare la possibilità di coefficienti di trasformazione più favorevoli per chi svolge lavori usuranti o gravosi.
Infine è stata altresì discussa l’esigenza di valorizzare maggiormente a fini pensionistici il lavoro di cura.
Il 18 settembre si è tenuto il secondo tavolo tecnico tra Governo e Parti Sociali dedicato alla prossima riforma delle pensioni che ha affrontato il tema della previdenza complementare.
In particolare, si è affrontato il tema della previdenza complementare e di come velocizzarne l’accesso per garantire un’adeguata “copertura pensionistica” per i giovani lavoratori “contributivi” e con carriere discontinue.
Si è affermata l’importanza della previdenza complementare nella vita di un lavoratore: “La previdenza complementare è centrale, anche se non può essere considerata sostitutiva della previdenza pubblica, per cui va sostenuta attraverso campagne informative e, soprattutto, con politiche fiscali di vantaggio, volte a favorire le adesioni nel corso di tutta la vita lavorativa e professionale”

PREVIDENZA COMPLEMENTARE E PIANO GIOVANI

Pensione anticipata a 64 anni con 20 anni di contributi per gli under 35 è la possibilità che permetterebbe a molti dei giovani che si trovano interamente nel sistema contributivo di maturare il requisito necessario per l’uscita anticipata, ovvero che l’importo maturato sia almeno 2,8 volte superiore a quello dell’assegno sociale.

Si è svolto il 18 settembre, l’ultima riunione del tavolo tecnico sulla riforma delle pensioni. Si continua a lavorare per mettere in campo tutte le idee possibili per riformare il sistema di previdenza italiano.

Al centro della riunione, il tema della previdenza complementare e il cosiddetto piano giovani, per individuare interventi che possano sostenere il pensionamento degli under 35 e di tutti i lavoratori e le lavoratrici che hanno cominciato a lavorare dopo il 1996, e che, quindi, rientrano pienamente all’interno dei sistema contributivo.

Un sistema che ora come ora non è sostenibile per i millennials. Come evidenziato anche da uno studio del Consiglio Nazionale dei Giovani ed EURES, infatti, senza interventi discontinuità lavorativa e retribuzioni basse porteranno gli under 35 a poter accedere unicamente alla pensione di vecchiaia e con assegni molto ridotti.

Si tratta, della possibilità di stabilire un collegamento diretto tra la previdenza pubblica e quella privata, consentendo la somma tra la pensione pubblica e la rendita privata che deriva dai fondi complementari.

Pensione anticipata per i giovani under 35

Secondo quanto previsto dalla riforma del 2012, infatti, per uscire anticipatamente dal lavoro è necessario maturare 64 anni d’età e 20 di contributi, purché la pensione maturata abbia un valore 2,8 volte superiore a quello dell’assegno sociale. Un valore che ad oggi dovrebbe essere di almeno 1.409 euro (503,27 per 2,8).

Un requisito, quest’ultimo, complicato da raggiungere se consideriamo le retribuzioni basse e la discontinuità lavorativa, per una possibilità che, dunque, resterebbe appannaggio soltanto dei lavoratori più ricchi, con stipendi migliori.

La soluzione ipotizzata consentirebbe di puntare sulla previdenza integrativa, permettendo il cumulo della pensione pubblica con le risorse che derivano dalla rendita della pensione complementare.
In questo modo sarebbe più facile raggiungere i requisiti per l’uscita anticipata a 64 anni.

Ad esempio se si arriva a 64 anni con una pensione maturata pari a 1.250 euro (insufficiente quindi per l’uscita anticipata poiché inferiore a 1.409) ma si può contare su una rendita di 200 euro dai fondi previdenziali ecco che si può maturare il requisito e uscire anticipatamente dal lavoro.

La questione non di poco conto resta però quella della fattibilità di una simile ipotesi. Non è, infatti, scontato che i lavoratori e le lavoratrici con basse retribuzioni siano in grado di versare ogni mese una quota al fondo previdenziale complementare.